Dopo aver letto il post di Il giro del mondo attraverso i libri mi sono procurata Conta le stelle, se puoi di Elena Loewenthal.

Il romanzo è ambientato prevalentemente a Torino e narra la storia della numerosa e prolifica famiglia ebrea di cui Moise Levi è il capostipite.

Qual è la peculiarità? Pur essendo ambientato nel ‘900 e narrando di ebrei, questo libro non parla di Shoah, campi di concentramento, di rastrellamenti, forni crematori o deportazioni.

Questo romanzo parla di quella che avrebbe potuto essere la vita di una famiglia ebrea se nel 1924 a “quel Mussolino lì” fosse preso un colpo.

Dio c’è.
Cinquant’anni dopo, Dio sarebbe stato ancora lì. Altrimenti a Mussolini non gli sarebbe preso ne s-ciupùn da s-ciupé, un bel colpo secco nel ’24,solo due anni dopo quel brutto spettacolo della marcia su Roma. E se non gli fosse preso cul s-ciupùn nel ’24,un po’ come alla Perla tanti anni prima, quel Mussolino lì, avrebbe detto e ripetuto nonno Moise tante di quelle volte da far ridere tutti e non convincere più nessuno, quel Mussolino lì avrebbe combinato tanti di quei guai che meglio non pensarci ai guai che con quel brutto muso avrebbe combinato se non ci fosse rimasto stecchito.”

Da questo punto in avanti la Storia prende una piega diversa: nello stesso anno della morte di Mussolini viene dato il voto alle donne; nel 1938 finisce il mandato britannico in Terra Santa e nasce lo Stato di Israele, Vittorio Emanuele II abdica e va in esilio in Egitto, nasce quindi la Repubblica italiana.

Alla fine del romanzo ci si dimentica quasi di questa utopia, ci si convince quasi di aver letto una storia vera, ma ci pensa l’autrice a ricordarlo con una pagina che è un colpo al cuore.

Due parole col rimpianto di poi.

Il lettore non avrà difficoltà a convincersi che questa non è una storia vera. Quella vera, das, was war (“ciò che era stato”), come la chiama Paul Celan, è svanita dentro le ciminiere dei forni crematori, nelle camere a gas, nelle fosse comuni.

Allora, ho voluto provare a non arrendermi alla verità della Storia.

A immaginarne una, inventata ma verosimile, come se non fosse successo quello che è successo. E costruirla insieme a chi non c’è più.

L’ho scritta per non arrendermi al silenzio di quei morti. Per provare, una volta tanto, a pensare la Storia non senza di loro, ma insieme a loro. Immaginandoli accanto a me. A noi.

È il solo modo che ho trovato per non darla vinta a quel brutto muso di Mussolino, come direbbe nonno Moise.

Ho cercato di lasciare tutto o quasi com’era e come è stato, ma senza la Shoah. Perché la Shoah non sta dentro, sta fuori dalla nostra storia. È silenzio di morte, invece che vita e parole.

Così, siamo diventati molti di più.

Dedico questa storia a tutti coloro che hanno vissuto quell’altra, purtroppo vera.

A chi non è mai più tornato.

A chi l’ha attraversata, per raccontarla. O per tacerla, proprio come faceva mia nonna.”

Lo stile dell’autrice non mi ha convinta né appassionata, ma l’originalità della storia mi ha impedito di interrompere la lettura.

Perdendosi dentro questa utopia passano gli anni e dalla storia di nonno Moise e della sua progenie, si arriva a quella della sua pronipote Maya che per la prima volta mette piede a Torino.

Già Torino, che fa da sfondo a tutta questa storia. La città ed in particolare la Mole.

Torino e la Mole Antonelliana

Più volte nel romanzo compare la storia della Mole, che si intreccia a quella della Comunità ebraica torinese.

Nel 1848, infatti, con la promulgazione dello Statuto Albertino, fu concessa la libertà ufficiale di culto alle religioni non cattoliche.

La comunità ebraica di Torino acquistò il terreno per erigere un nuovo tempio, con annessa scuola.

Sin dalla sua costruzione, l’opera soffrì di problemi strutturali, nel 1873, la comunità israelita, fortemente delusa da questi problemi e costi aggiuntivi, barattò l’opera con il Comune di Torino.

Il Comune cedette ad essa un terreno in quartiere San Salvario, dove ora sorge l’attuale sinagoga, e si fece carico dei costi di ultimazione dell’edificio antonelliano, al fine di dedicarla al re d’Italia Vittorio Emanuele II.

Torino e il Museo del Cinema

Quando, alla fine del libro, Maya arriva Torino ed entra nella Mole scopre che ora è diventata la sede del Museo del cinema.

Il museo si sviluppa all’interno della cupola ed è davvero un’ambientazione suggestiva.

Ospita macchine ottiche pre-cinematografiche (le cosiddette lanterne magiche), attrezzature cinematografiche antiche e moderne, pezzi provenienti dai set dei primi film italiani ed altri cimeli nazionali e internazionali.

Lungo il percorso espositivo di 3200 metri quadrati distribuiti su cinque piani si visitano alcuni spazi dedicati alle figure principali che contribuiscono a realizzare un film. Nella sala principale, costruita nella sala del tempio della Mole, una serie di cappelle è dedicata a vari generi cinematografici.

Il museo conserva un’imponente collezione di manifesti cinematografici, una collezione di pellicole ed una biblioteca, in costante ampliamento.

Torino museo del cinema

All’interno del museo si trova anche un ascensore panoramico (inaugurato nel 2000), con pareti in cristallo trasparente, che effettua la sua corsa in 59 secondi, in una sola campata a cielo aperto senza piani intermedi, dai 10 metri della quota di partenza agli 85 metri del “tempietto” dal quale si può vedere il favoloso panorama di Torino.

Torino panorama mole antonelliana

Le poltrone al centro della sala (le stesse su cui anche Maya nel libro dice di sdraiarsi) sono fantastiche.

Info utili per il Museo del Cinema e la Mole

Il Museo e l’ascensore panoramico sono aperti tutti i giorni, escluso il martedì, dalle 9 alle 20 (il sabato fino alle 23).

Ha senso salire sull’ascensore in una bella giornata di cielo sereno, sennò vi perderete il meglio del panorama, ovviamente.

il biglietto museo + ascensore costa 14 Euro (11€ se ridotto).

Mole Antonelliana

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FrancescaGi

FrancescaGi

Romana di nascita, sabina di azione, mamma di cuore. I suoi viaggi sono un mix tra il suo animo cittadino e l’amore incondizionato per la natura della mezza mela con cui condivide la vita. “Alla fine però sono venuti dei bei mix”, assicura lei. Chissà se la pensa così anche Luna, la coniglia nana più viziata del mondo, che li attende con pazienza a casa ogni volta. Anche se di fatto è un avvocato, Francesca dice di non avere ben chiaro cosa vuole fare da grande, ma sarà bene che lo capisca in fretta perché suo figlio di 3 anni le ha chiesto come regalo una Ducati Panigale!