La Risiera di San Sabba ha il tristissimo primato di essere l’unico lager nazista d’Italia, l’unico dell’Europa del sud.

Si trova fuori dal centro storico di Trieste, vicino allo stadio, nel quartiere residenziale di San Sabba.
Costruito sul finire del XIX secolo, questo opificio, come dice il nome, serviva per la pilatura del riso, ma dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, fu utilizzato in maniera molto diversa.

Inizialmente fu usato come campo di prigionia provvisorio per gli italiani catturati. Poi, nell’ottobre dello stesso anno, come un vero e proprio lager. Anzi, come lo chiamavano i nazisti, come un Polizeihaftlager – campo di detenzione della polizia.

Da ottobre in poi, nella Risiera di San Sabba furono internati partigiani, ebrei, oppositori politici e tutti gli ostaggi destinati alla morte, o peggio, ai campi di Dachau, Auschwitz, Mauthausen.

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Tutti coloro che non erano destinati ai campi del nord Europa, trovavano la morte qui. Le poche testimonianze dirette che sono state raccolte, parlano di van neri in cui i prigionieri erano ammassati e poi gassati con lo stesso gas di scarico del mezzo. Altri erano semplicemente colpiti alla nuca con una mazza. Altri erano fatti sbranare dai cani.
In pochi erano fucilati, per evitare di fare troppo rumore e di sprecare pallottole. I testimoni parlano di altoparlanti da cui usciva musica a tutto volume, per non far sentire le grida di dolore dei condannati.

I cadaveri erano poi bruciati nel forno crematorio, al quale si accedeva da un tunnel sotterraneo.
Si calcola che da tre a cinquemila persone siano state eliminate nella Risiera di San Sabba, ma un numero ben maggiore è partito per i campi di sterminio nazisti. E pochissimi ne sono tornati.

Visita alla Risiera di San Sabba

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L’entrata al lager è gratuita e vi si accede attraverso un lungo e stretto corridoio, fiancheggiato da un altissimo muro di cemento armato, completamente spoglio. Si vede a malapena il cielo; l’ingresso è fatto appositamente per mettere a disagio il visitatore.

La prima stanza che si trova sulla sinistra è chiamata la “cella della morte”. Erano ammassati tra queste mura coloro che, catturati durante rastrellamenti o arrivati dalle prigioni naziste, erano destinati a una morte immediata.

Proseguendo si entra in uno stanzone più grande, nel quale si affacciano le porte di decine di microcelle, grandi un metro per due, alte poco più di un metro e ottanta, dove venivano rinchiusi i prigionieri. Potevano arrivare ad essere addirittura sei per cella e, vi assicuro, entrando non c’è spazio neanche per una persona.
È una stanza che fa venire i brividi. Durante il restauro sono state trovate decine di scritte fatte dai prigionieri, la cui memoria è conservata nei diari di Diego de Henriquez, esposti nel Civico Museo di guerra per la pace Diego de Henriquez.

Il forno crematorio

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I piani alti dell’edificio erano destinati a laboratori di sartoria e calzoleria, nonché a caserma per i soldati nazisti. L’edificio successivo di quattro piani, era destinato a ospitare tutti i prigionieri (per la maggior parte ebrei) destinati ad essere trasportati nei campi di concentramento del nord.

Entrando nel cortile, si vedono due sagome scure, due ombre: erano i locali destinati all’eliminazione e il forno crematorio. Le sagome indicano il punto esatto dove sorgevano. Tali edifici furono fatti saltare in aria dai tedeschi in ritirata, per cancellare le prove dei loro crimini. Siamo nell’aprile del 1945.

Il forno crematorio era in realtà l’essiccatoio del riso, adattato a bruciare i cadaveri da Erwin Lambert, ideatore dei crematori nei campi di sterminio polacchi. Il primo giorno di “servizio” vi furono bruciati ben settanta cadaveri.

C’è un piccolo edificio di culto, senza differenziazione di religione, che oggi è ospitato nel garage dove sostavano i furgoni usati per gassare le vittime.

Alla fine del percorso, si trova un piccolo museo con testimonianze audio e video di alcune delle vittime che dalla Risiera di San Sabba passarono.

Informazioni per la visita

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La Risiera di San Sabba si trova in una zona periferica di Trieste, accanto alla Lidl, allo stadio e a una palestra. Sulla destra dell’entrata c’è un parcheggio gratuito.
All’interno è proibito portare cani ed è richiesto un contegno adatto al luogo. Per la visita – gratuita – si può usufruire di un’audioguida a pagamento che spiega in maniera asciutta ma empatica gli orrori che sono avvenuti qui dentro. Altre informazioni le trovate sul sito ufficiale.

La Risiera di San Sabba: le mie impressioni

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Ammetto la mia ignoranza, prima di andare a Trieste non avevo idea che esistesse un lager nazista in Italia.

L’atmosfera non è molto diversa da quella che trovai anni fa nel Campo di Concentramento di Dachau, vicino a Monaco di Baviera. Chiaramente i numeri sono differenti, ma ogni vita finita in un luogo del genere deve essere pianta e ricordata, a prescindere dagli zeri che la seguono.

È molto difficile fotografare luoghi di questo tipo, ho sempre paura di mancare di rispetto e, con il rumore dello scatto, di “dare fastidio”.
La visita è commovente, non lo si può nascondere. Più di una volta mi sono trovata con le lacrime agli occhi, soprattutto di fronte alle lapidi commemorative, un misto di disperazione, dolore e orgoglio.

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Sono luoghi che vanno visti, anche all’interno di ben più spensierate gite, per non perderne la memoria ma soprattutto per rendersi conto della fortuna che abbiamo avuto, a nascere oggi.

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Francesca

Francesca

La capa, dalla cui mente è nato Chicks and Trips. Senese di nascita, europea per vocazione, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza e poi l'ha appesa al chiodo sopra la televisione, tanto le stampe come complemento d'arredo vanno di moda. Passa il suo tempo a scrivere atti più o meno pubblici, fare foto e pettinare gatti. Se dovesse andare a Hong Kong, sceglierebbe un volo con scalo a Londra e un tempo di attesa di un paio di giorni, pur di farsi un giro nella città della Regina. Sogna di vincere alla lotteria e passare il resto della vita in un appartamento con camino a Mayfair. Autrice de "I Cassiopei (biografie non autorizzate)" e "Storia di Biagio".