Voglio partire con una premessa: se non fosse stato assolutamente necessario, non mi sarei mai messa in questa situazione con un figlio di quasi 6 anni.
Nella vita però ci sono delle cose che scegli e altre che ti capitano e devi affrontarle tuo malgrado.
Quindi eccoci qui, a gestire una quarantena in Corea del Sud.

La Repubblica di Corea (o Corea del Sud), a seguito della pandemia di Covid-19, ha istituito, per tutti gli stranieri che entrano nel Paese, una quarantena obbligatoria di 14 giorni, da fare in strutture individuate dallo Stato coreano al momento dell’arrivo in aeroporto.
Le spese, a carico dello straniero, non sono proprio esigue (circa 70 Euro al giorno a testa).
Quattordici giorni in una camera d’albergo, con i pasti che vengono lasciati fuori dalla porta.
Per quanto possibile ci siamo documentati, ma anche tra blogger e youtuber, le notizie sono poche e le modalità di quarantena si modificano a una tale velocità, che quello che sto scrivendo oggi potrebbe già non essere più valido domani.

Documenti da richiedere per andare in Corea del Sud

Tutti gli stranieri hanno bisogno di un visto per entrare in Corea; il visto viene rilasciato, per l’Italia, dal Consolato di Milano o dall’Ambasciata di Roma, a seconda della propria residenza.
Le modalità e i documenti richiesti per il rilascio sono parzialmente differenti a seconda della zona di provenienza, quindi come prima cosa chiamate e informatevi.
Di fatto, al momento, si entra in Corea solo con una adeguata motivazione.
I coreani che rientrano in patria dovranno fare analoga quarantena, ma presso il loro domicilio.
Se in questo periodo di osservazione si risulta positivi al Covid, si viene allontanati e isolati in strutture apposite.
La prospettiva di essere divisi e finire in un centro Covid è di sicuro l’aspetto che mi preoccupa maggiormente (più del virus in sé, in effetti).

Il volo per arrivare a Seoul

Ci hanno misurato la febbre all’ingresso dell’aeroporto di Fiumicino dove, a metà giugno, era in funzione il solo Terminal 3.
Questa scelta, chiaramente dettata dal contenimento dei costi, non rispetta però secondo me la logica del distanziamento che il Covid impone.
I voli in partenza erano pochi, ma non pochissimi.
Viaggiatori ce n’erano e un solo terminal comporta necessariamente spazi stretti.
Sorvoliamo poi sulla discutibilissima scelta di tenere aperto un solo bagno in tutto il terminal. Non vi dico nemmeno che fila ci fosse!
Nell’impossibilità di trovare voli diretti, abbiamo scelto un volo della Lufthansa con scalo a Monaco di Baviera.
Nulla da eccepire sulla qualità del volo.
Niente distanziamento sociale, ma tutti con la mascherina e grande attenzione del personale di bordo.
Pasti contenuti e boccette di acqua per evitare di dover passare troppe volte tra i passeggeri.
Bagaglio a mano limitato allo stretto indispensabile. Disposizione, questa, che pare resterà in vigore a lungo.

Day 1 – Arrivo a Seul Incheon e trasferimento in hotel

quarantena corea del sud seul
Probabilmente avevo sottovalutato la questione.
Dopo un viaggio di oltre 15 ore, aggiungerne altri 4 di controlli all’aeroporto è stato devastante.
Il clima che ci ha accolti non è quello coreano che abbiamo conosciuto in precedenza, ma quello freddo e meccanico che si sono imposti con il Covid.
Appena scesi dal volo, ci hanno fatto scaricare le app per l’autodiagnosi (da fare ogni giorno per tutta la durata della quarantena).
Ci hanno fatto compilare non so più quanti moduli, il cui scopo è sostanzialmente quello di creare una rete tra i passeggeri dell’aereo, per capire i possibili contagi in caso qualcuno risulti positivo, e firmare ogni genere di clausola sulle modalità di quarantena.
Ci hanno misurato la febbre con un termoscanner. Sembrava che io avessi qualche linea di febbre.
Ci hanno fatto attendere (tralascio dettagli sulla nostra preoccupazione, credo si possa immaginare) e poi mi hanno rimisurato la temperatura che, grazie al cielo, nel frattempo, si era stabilizzata.
Hanno verificato la nostra prenotazione nell’hotel scelto per il dopo quarantena, hanno telefonato al nostro riferimento in Corea.
Gli stranieri hanno un percorso separato dai coreani. Anche se eravamo pochissimi, tutti i documenti vengono visionati con attenzione maniacale e questo richiede tempi lunghi.
Dopo aver recuperato i nostri bagagli ed essere riusciti a cambiare un po’ di soldi, ci hanno portati finalmente nell’hotel che il governo coreano ha scelto per la nostra quarantena: il Grand Hyatt Seoul.
Sulla scelta dell’hotel non c’è possibilità di influire: decidono loro al momento dell’arrivo.
Si tratta di un hotel enorme, di ottima qualità (5 stelle credo),una parte del quale è stato convertito a struttura per la quarantena.
Ci hanno fatto i tamponi, fatto compilare nuovi moduli, fornito tutte le istruzioni per la nostra quarantena e dato una stanza spaziosa che diventerà la nostra casa per i prossimi 14 giorni (se tutto va bene).
Ci siamo addormentati sfiancati dal fuso orario e dal viaggio.

Day 2 – Tamponi e applicazioni

Oggi sarebbero dovuti arrivare i risultati dei tamponi, ma dopo metà giornata ancora nulla. Immaginiamo sia buon segno.
In fondo avevamo fatto i tamponi anche in Italia, una settimana prima di partire.
Ci sono problemi a far funzionare la app di autodiagnosi sul telefono di mio marito.
Non capiamo se crei chissà quale incomprensibile conflitto, ma con quella, il Wi-fi non va. Le stiamo provando tutte, anche telefonando ad amici esperti in Italia per consulenze internazionali.
Cerchiamo intanto di impostare una routine.
Per passare il tempo lontani da uno schermo abbiamo insegnato al piccolo i rudimenti di “nomi-cose-città”.
Ci siamo ovviamente portati un considerevole numero di giochi e passatempi collaudati, ma aggiungere qualcosa di nuovo fa sempre bene.
A noi e a lui.
Il medico è passato alle 17.
Dovrebbe passare tutti i giorni a quest’ora. Sull’uscio si ferma una giovane ragazza con tuta, schermo di plastica, mascherina, occhiali. È un bagno di sudore, ma sorride.
Alla prima misurazione (ha il termometro a pistola classico) avevo 37. Poi 36.9.
Temo sia lo stress, non ho febbre tutto il giorno, ma mi sale se mi agito, il che non va bene in questa situazione.
Sto cercando di mantenere un briciolo di serenità ma non mi riesce molto facile, soprattutto considerato che non dormo quasi nulla per colpa del fuso orario.
Fuori è piovuto ininterrottamente da questa notte.

Day 3 – Messaggi registrati

La sveglia la mattina alle 8 è scandita da un messaggio registrato che ricorda le regole della quarantena.
È uno dei pochi rumori che si sentono nel silenzio assoluto di questo hotel.
Stamattina colazione di lusso a base di pancake.
Una rarità, visto che i coreani preferiscono la colazione salata.
Dopo due giorni, la curiosità di mio figlio nei confronti del water non poteva resistere oltre. D’altra parte, i wc giapponesi sono la mia passione.
Tale madre tale figlio!
Io continuo ad avere la temperatura che si alza nel pomeriggio (arriva a 37).
Il che mi genera uno stress non indifferente (aumentando dall’ansia di mio marito).
A questo, si è aggiunta la necessità di imbottirmi di fermenti lattici (per ovvi motivi).
I maschi della stanza oggi sono in fissa con i Pokemon.
Hanno giocato a carte tutta la mattina e hanno passato il pomeriggio a fare un attento studio delle carte che vorrebbero.
Questo mi ha permesso di dormire e smaltire il fuso. Mi sento decisamente meglio!

Day 4 – di routine e cibi strani

Tutto sommato, grazie alla melatonina prescritta dal medico prima della partenza, riusciamo a dormire. Il piccolo sicuramente più di noi.
Riuscire a dormire mi ha aiutata a normalizzare la temperatura. Oggi non ho avuto nessun problema.
La mattina, quando parte l’altoparlante, lo sradicherei dalla parete.
Soprattutto se, come oggi, dalle 4 alle 6 ho letto un libro e mi sono riaddormentata solo poco prima che cominciasse a parlare.
Stamattina io e il piccoletto abbiamo fatto ginnastica guardando i video di Le favole di Fede su youtube, che usavamo anche durante la quarantena italiana. Poi, ci siamo concessi un bagno bollente (quanto meno sfruttiamo la presenza della vasca nel bagno della camera).
Tra le cose da mangiare, oggi ci hanno portato dei pesciolini di plastica con dentro la salsa di soia.
Li abbiamo lavati accuratamente e saranno i nostri nuovi giochi per la vasca da bagno.

Day 5 – Sole fuori e Wi-Fi che non va

I pasti ci vengono lasciati fuori dalla porta alle 7, alle 12 e alle 18.
Ogni volta suonano alla porta. Poi parte l’altoparlante che ti avvisa di non aprire la porta durante la consegna dei pasti.
Ma allora perché suoni se non vuoi che apra???
Oggi, il Wi-Fi fa le bizze.
Ci consoliamo leggendo, giocando a carte (dei pokemon) e facendo un lungo bagno, recuperando oggetti vari per giocare nella vasca.
Abbiamo fatto il bucato e il filo per stendere che ho comprato, prima della partenza, si è rivelato fantastico.
Ogni tanto facciamo scintille, ma in questa clausura è il minimo sindacale.
Questa sera, a causa del Wi-Fi che fa i capricci, niente film nel lettone per chiudere la serata.
Ci consoliamo leggendo un escape book di Geronimo Stilton.
È stata una recente scoperta, vista la passione di nostro figlio per i programmi interattivi di Netflix (quelli in cui puoi scegliere di seguire una traccia della storia o l’altra).
Al momento sono un successo e ci aiutano nel passaggio da storie più “da piccoli” a storie più complesse e lunghe.

Day 6 – Spazzatura e domeniche alternative

È domenica.
Il Wi-Fi è di nuovo tra noi.
Ieri pomeriggio ci siamo dimenticati di mettere la spazzatura fuori dalla porta. Possiamo farlo solo tra le 18.30 e le 19, dentro appositi sacchetti arancioni opportunamente igienizzati all’esterno.
Adesso abbiamo il piccolo ingresso ingombro di buste arancioni.
La quarantena non è decisamente zero waste.
I pasti ci vengono portati in vassoi di plastica, le posate sono monouso, tutto è incartato singolarmente (anche le banane sono imbustate), di norma abbiamo una boccetta d’acqua da 300 ml e un succo o una bibita in lattina. Le zuppe sono tutte monoporzione, in confezioni non riciclabili.
Noi, in tre, produciamo una considerevole quantità di spazzatura quotidiana. Stupidamente mi sento anche un po’ in colpa per questo, ma non è possibile fare diversamente.
In Corea del Sud, ma anche in Giappone, la maniacale attenzione che stiamo sviluppando in Europa per i rifiuti non viene nemmeno lontanamente percepita.
Ho scritto “maniacale” non perché io non condivida questa attenzione, ma perché, come spesso accade, sui social diventa a volte un modo per sferrare attacchi brutali nei confronti di chi si ritiene poco sensibile alle tematiche ambientaliste.
Entra un bel sole dalla finestra e non poterla nemmeno aprire mi innervosisce da matti. Siamo al dodicesimo piano e la finestra è sigillata. Non è previsto che si apra.
Trovo che sia una cosa insopportabile.

Day 7 – Giro di boa

Incredibilmente ci siamo.

Sono già passati sette giorni e confesso che all’inizio mi sembrava una meta irraggiungibile.

Oggi è una giornata grigia e scura, ma “tanto non dobbiamo fare niente“, come dice saggiamente il piccolo di casa.

La giornata scorre tra Lego (portati da Roma), giochini di enigmistica per lui e per noi, libri da leggere, lunghi bagni e tante chiacchiere (tra noi e con i nostri cari da casa).

A proposito di Lego, su un canale coreano abbiamo visto una pubblicità di Lego che non credo ci siano in Italia. Chiaramente ci è stata estorta la promessa che usciti di qui andremo in un Lego store coreano.

La prima settimana volge al termine.

Ci prepariamo per la seconda!

Questo post è stato scritto da:

FrancescaGi

FrancescaGi

Romana di nascita, sabina di azione, mamma di cuore. I suoi viaggi sono un mix tra il suo animo cittadino e l'amore incondizionato per la natura della mezza mela con cui condivide la vita. “Alla fine però sono venuti dei bei mix”, assicura lei. Chissà se la pensa così anche Luna, la coniglia nana più viziata del mondo, che li attende con pazienza a casa ogni volta. Anche se di fatto è un avvocato, Francesca dice di non avere ben chiaro cosa vuole fare da grande, ma sarà bene che lo capisca in fretta perché suo figlio di 5 anni le ha chiesto come regalo una Ducati Panigale!